Essere Donne

Ovvero una riflessione tra donne sull’importanza di non “fare gli uomini” anche noi

C’è una giornata dedicata pressoché ad ogni cosa, ma nell’arcipelago delle celebrazioni l’8 marzo, giornata dedicata alle donne, continua ad avere una sua valenza peculiare. E, soprattutto nei nostri tempi bui, diviene di vitale importanza coglierne il senso più profondo, nell’ambito dell’urgenza di distillare da ogni evento ed occasione un’opportunità di crescita, un’ispirazione a guardare verso la direzione che ci può dare il massimo.

La prima cosa che ci è venuta in mente a riguardo dell’8 marzo è stata il desiderio di collocarla in una prospettiva storica, per analizzarla e vedere come ci può servire. La condividiamo con voi:

Agli inizi del ‘900, soprattutto negli USA, ci fu un fiorire di organizzazioni femminili, che hanno coinvolto milioni di donne, per ottenere migliori condizioni di lavoro, salari più adeguati e per ottenere il diritto di voto alle donne, il “suffragio femminile”. Fu nell’ambito di questo spirito di rivendicazione che, nel 1921, a Mosca, prese forma l’idea di una giornata internazionale delle donne. Nel corso del tempo, fino ad oggi, le ragioni sono di volta in volta cambiate in risposta al mutare delle contingenze politico-sociali, pur conservando una duplice valenza: da un lato la “lotta” contro un potere costituito per far riconoscere i diritti fondamentali di donne e bambini, dall’altro un desiderio sempre più vivo di una più autentica solidarietà tra le donne.

Quello che non risulta affatto soddisfacente di quest’ultimo secolo di storia, senza nulla togliere allo spirito di genuino e glorioso impulso al rinnovamento, è che “lotte e rivendicazioni” sono state semplicemente le risorse utilizzate dall’ala maschile dell’umana società. Niente di nuovo. Persino nella Lisistrata di Aristofane, dopo tutto non c’è nulla che non sia “rivendicazione e ricatto”.

È davvero così? Siamo uomini anche noi?

Possiamo “fare come gli uomini” e possiamo anche cavarcela benino, abbiamo una lista nutrita di donne scienziate, riformatrici, artiste, ecc., ma in qualche modo sembra sempre che il bersaglio non venga colto. Dopo un’intera storia della razza umana siamo qui ancora senza vera e diffusa solidarietà, diritti, pace…

Noi “siamo” donne. La nostra fisiologia è differente non solo per dei connotati fisiologico-estetici. “Siamo” differenti. Cogliamo gli aspetti più unificanti. Tendiamo spontaneamente all’abnegazione, a nutrire, a sostenere, a mediare. “Lotta e rivendicazione” sono davvero quanto di più antitetico alla figura della donna.

Amare, ricomporre, sublimare, guarire, nutrire, ispirare, dare vita, far risplendere armonia e bellezza, far trionfare tutte le differenze nella piena, multicolore espressione della vita. Questo siamo, in modo unico e speciale.

Con ciò non si vuole affermare una nuova tattica nei confronti di una sopraffazione. Questo significa che se oggi stiamo ancora parlando di qualche genere di sopraffazione, abbiamo mancato l’esercizio nelle nostre più vere funzioni. Non abbiamo ancora mobilitato le nostre più vere e potenti risorse.

E poi non vogliamo un altro “fare” – grazie, no!

Ma vogliamo “essere” l’essere che siamo. Dentro di noi. Quella che non riesco a definire scintilla, perché, lo sapete, la sentite, è viva e vibrante nel profondo, non è una scintilla, è un’enorme, tremenda, invincibile, inarrestabile – inesprimibile magari – ma tonante, limpida, chiarissima, vivacissima, spumeggiante… realtà.

Il “buono”, il “vero” e il “giusto” non sono un mito. Non possono diventare il tema di un trattato o un’occasione per sacrificarci o negare noi stesse in un’ennesima “lotta”. Sono qualcosa di meglio. Sono reali. Anche far nascere un figlio sembra “magia”, ma è reale, è autentico.

Quando per la prima volta abbiamo letto le sollecitazioni di un grandissimo della storia della conoscenza mondiale, Maharishi Mahesh Yogi, tutto è andato a suo posto:

La donna è all’apice della creazione. Questo è il suo posto ed il suo ruolo, ed essa non deve perderlo, perché se lo perde ci saranno guerre, sofferenze e crudeltà, poiché ella è l’opposto di tutte queste cose”.

E ci dà l’indicazione fondamentale per questo nostro 8 marzo.

La sua posizione è quella di far sì che l’uomo tenda ad una coscienza più elevata

Come si fa?

Domanda sbagliata.

Abbiamo “fatto abbastanza”. Ci siamo stancate, negate, sopraffatte per abbastanza tempo nella storia umana.

E se davvero cominciassimo a innaffiare le radici del nostro “essere donne” a ravvivare l’Essere che siamo? Per riuscire a modificare silenziosamente, ma efficacemente la coscienza collettiva e ad accendere in tal modo la luce che permetta ad ogni uomo, donna e bambino, spontaneamente, di vedere le soluzioni oltre ai limiti e ai problemi?

Lasciamo che sia Maharishi ad esprimere il messaggio più autentico, che vogliamo condividere con voi, per un 8 marzo che ci riporti a soluzioni davvero efficaci, per un mondo “definitivamente” migliore.

Uomini e donne, per quanto grandi siano le loro responsabilità, si sono finora ridotti a riorganizzare l’ambiente con effetti diversi, solo perché non hanno saputo come rivendicare questo diritto di nascita. Di conseguenza sta diventando un luogo comune sottolineare che, nonostante i prodigi della competenza tecnologica, nonostante l’esplosione di informazioni oggettive, l’umanità continua a soffrire di disastri collettivi e inadeguatezze individuali.

Se riprendiamo il contatto con questa profonda sorgente di creatività dentro di noi [come facciamo nella Meditazione Trascendentale] siamo in grado di apprezzare tutti i limiti che le circostanze impongono, e di vedere oltre di essi.” Maharishi, 1974